Vogliamo qui rapidamente descrivere alcuni aspetti del funzionamento dell’occhio umano che sono legati alla parte nervosa di esso, essenzialmente alla rètina.
Adattamento al buio
Quando una persona passa da un ambiente normalmente illuminato ad uno quasi buio,
inizialmente è quasi cieca; poi riacquista gradatamente la visione. Inizialmente, l’adattamento è veloce, ma il suo completamento richiede almeno 40 minuti. Questo adattamento presuppone un aumento di sensibilità ed è dovuto a tre cause:
1) un fenomeno chimico, cioè la rigenerazione della porpora retinica o rodopsina . Questa sostanza, contenuta nei bastoncelli, si altera per effetto della luce e dà avvio alla stimolazione nervosa delle cellule sensibili; al buio, essa rigenera rapidamente ed il suo accumulo aumenta la sensibilità delle cellule.
2) Un fenomeno nervoso, per il quale le singole cellule ganglionari (vedi sopra) ricevono impulsi da un numero maggiore di bastoncelli, i cui effetti vengono così a sommarsi. A causa del secondo meccanismo, in concomitanza con l’adattamento al buio si verifica un calo dell’acuità visiva, specialmente nella fovea, e della percezione dei colori, soprattutto del giallo-arancio-rosso.
3) Un fenomeno ottico: l’allargamento della pupilla operato, in via riflessa, da apposite fibre muscolari. Si è detto sopra che al centro dell’iride vi è un foro circolare, la pupilla, attraverso cui passa tutta la luceche va poi a distribuirsi sull’intera retina. Il diametro di questo foro non è costante: si allarga fino ad 8 mm circa al buio, si riduce anche fino ad 1 mm alla luce viva. La variazione del suo diametro è comandata in modo inconscio, per un “riflesso” nervoso, sulla base della luminosità media dell’ambiente.
Quando si verifica una certa anomalia, per la quale manca l’adattamento al buio, la persona diviene quasi cieca in luce crepuscolare e si parla di emeralopìa.
Adattamento alla luce intensa
Passando dal buio alla luce viva, avvengono fenomeni inversi: si ha un primo periodo di
abbagliamento, seguìto da una perdita di sensibilità che consente, dopo un poco, di riprendere la visione corretta. L’adattamento alla luce è più veloce di quello al buio: infatti, si completa in pochi minuti. Oltre ai meccanismi chimici e nervosi già citati, anche qui esiste un meccanismo più strettamente ottico: il restringimento automatico della pupilla.
Sembra che l’adattamento alla luce intensa sia dovuto anche alla migrazione dei granuli scuri nelle cellule pigmentate su cui si appoggiano le cellule sensibili.
Persistenza
Il fatto che l’adattamento al buio o alla luce siano relativamente lenti spiega il fenomeno della persistenza, per il quale un’immagine che si forma per breve tempo sulla retina produce una sensazione che dura per una frazione di secondo dopo lo stimolo. Se la retina riceve una serie di immagini di breve durata intercalate da brevi periodi di buio, può non percepire lo stacco fra ogni immagine e la successiva ed avere la sensazione di un’immagine unica (fusione). Se le successive immagini sono leggermente diverse l’una dall’altra, si può avere la sensazione di movimento.
Vedremo che nella fovea prevalgono i coni, che sono meno sensibili dei bastoncelli.
Le variazioni di diametro della pupilla sono dovute alla presenza, nell’iride, di fibre muscolari radiali e circolari.
L’emeralopia (cecità solo notturna senza causa specifica) è spesso dovuta a carenza di vitamina A, un precursore chimico della rodopsina.
Allo stesso meccanismo della persistenza sono dovute le immagini postume: osservando un oggetto molto illuminato (es. il riquadro di una finestra in pieno giorno) e poi volgendo gli occhi su un fondo scuro, o chiudendo le palpebre, si continua a vedere l’oggetto di prima, sia pure molto confuso e pallidissimo; le reazioni chimiche provocate dalla luce nella retina non si annullano istantaneamente col passaggio luce-buio.
Le immagini postume sono “positive”, cioè riportano gli stessi chiari-scuri dell’oggetto, se la stimolazione della retina è breve; se la stimolazione è prolungata, si può avere un affaticamento della retina e l’immagine postuma apparirà con contrasto invertito.
Risoluzione
Se, in un oggetto qualunque, consideriamo due punti vicini, possiamo vedere come distinti, cioè risolti, quei due punti solo se i due punti corrispondenti nell’immagine formata sulla rètina cadono su due diverse cellule sensibili; è questo il limite anatomico della risoluzione dell’occhio. Anche il sistema di lenti dell’occhio (vedi sotto) ha un suo limite di risoluzione ma il limite ultimo è dato dalla
distanza fra le cellule. Questa distanza è di 4 – 5 μ in corrispondenza della fovea, molto maggiore altrove. Questa massima densità di cellule nella fovea spiega perché, quando “fissiamo” un oggetto, ruotiamo istintivamente gli occhi in modo che la sua immagine cada proprio sulla fovea: la massima risoluzione si ha infatti in essa.
Sensibilità al contrasto
Si chiama “contrasto”, semplificando molto, la differenza di luminosità fra una regione ed un’altra di un oggetto o di un’immagine. L’occhio umano percepisce il contrasto solo se è superiore a circa il 2 % (legge di Weber), ma la sua sensibilità dipende dal colore: è massima per i contrasti in bianco e nero.
Sensibilità ai colori (sensibilità cromatica)
Sembra che i bastoncelli della retina, uno dei due tipi di cellule sensibili, siano incapaci di discriminare i colori per cui, da soli, ci fornirebbero la visione in bianco e nero. Essi però possono percepire luminosità più basse. Le altre cellule sensibili (coni) sarebbero invece sensibili ai colori, anche se hanno bisogno di una stimolazione più elevata. I bastoncelli prevalgono numericamente, ma nella piccola regione centrale detta “fovea” (vedi sopra) prevalgono i coni. Sembra che vi siano varie categorie di coni, sensibili a diverse bande spettrali, almeno tre.
Dalla combinazione dell’eccitazione di varie categorie di coni si avrebbe la percezione dei colori misti. Si noti che la percezione dei colori, del loro contrasto, ecc. è affidata a molti centri nervosi, oltre 30, che lavorano in parallelo per non rallentare troppo la percezione finale.
Ed ogni “centro” rappresenta una struttura complessa. Una sola zona della corteccia visiva (nel lobo occipitale del cervello) contiene circa 300 milioni di neuroni.
Vi sono però persone che non percepiscono i colori. La causa di questo difetto sembra
risiedere nella funzionalità dei coni. L’assenza di percezione di TUTTI i colori è, per fortuna, un caso molto raro. Più frequente è l’insensibilità al rosso oppure al rosso-verde . In questi casi si parla di daltonismo, in ricordo del chimico e fisico inglese J. Dalton che ne era affetto e lo descrisse nel 1794.
Il daltonismo è assai più frequente negli uomini che nelle donne; la ragione di ciò sta nel fatto che il corretto funzionamento dei coni è legato a due coppie di geni situati nei “cromosomi del sesso”, indicati con XX. Nelle donne, un difetto in uno solo dei cromosomi X viene compensato dall’altro cromosoma X e non dà segni manifesti; nell’uomo, essendovi un solo cromosoma X, il daltonismo si manifesta se quell’unico cromosoma è difettoso poiché manca il cromosoma omologo.