L'occhio
L’occhio è un organo di senso, per organo di senso intendiamo un mezzo che ci permette di ricevere informazioni dal mondo esterno. Nello specifico l’occhio è quell’organo che può essere stimolato dalla luce.
La sensibilità alla luce si manifesta in tre modi principali:
–sensibilità generica, capace di rivelare solo la presenza e l’intensità di una sorgente luminosa e che possiamo anche indicare come fotosensibilità. Questo tipo di visione è propria di alcuni piccoli animali acquatici il cui corpo è generalmente trasparente ad esempio le meduse o terrestri come i lombrichi. I loro organi “visivi” si trovano presso la superficie del corpo e sono detti macchie oculari
–sensibilità direzionale, capace di rivelare anche la direzione di provenienza della luce,cioè la posizione della sorgente. Essa si realizza grazie a piccole aperture invaginate poste presso la superficie corporea che consentono il passaggio di un ristretto fascio luminoso e che colpisce un punto diverso della fossetta in base alla provenienza della luce. Questa può essere così localizzata e consentire all’animale di voltarsi nella esatta direzione di provenienza della luce stessa. L’occhio “a fossetta” è proprio di alcuni molluschi ed anellidi (vermi segmentati)
–visione, cioè capacità di rivelare forma e posizione dell’oggetto. Questa è realizzabile con due strutture completamente diverse:
- L’occhio composto di insetti e crostacei formato da un numero più o meno elevato di occhi semplici detti ommatidi disposti solitamente a sfera sporgente rispetto al cranio a dare vita ad una sorta di occhio complesso. In questo modo i singoli occhi, che hanno una forma molto allungata a bastoncello, puntano ognuno in una diversa direzione e danno una visione del mondo esterno a mosaico.
- L’occhio complesso dei vertebrati (tra cui l’uomo) e dei molluschi che potremmo schematizzare come un occhio a fossetta sul cui foro di ingresso sono disposti una stratificazione di tessuti perfettamente trasparenti capaci di funzionare come una lente convergente . La lente produce sul fondo una immagine reale rimpicciolita e rovesciata degli oggetti esterni.
Anatomia dell'occhio umano
Visto dall’esterno, l’occhio umano assomiglia ad una sfera (globo oculare) del diametro medio di 23 – 24 mm. Da questa forma all’incirca sferica, si discosta la parte anteriore, che affiora fra le palpebre aperte ed appare come una calotta sferica di circa 10 mm di diametro, sporgente rispetto al globo, liscia e trasparente; è la cornea.
Verso l’interno dell’occhio, dietro la cornea, si trova un anello di tessuto colorato, di colore variabile da una persona all’altra, detto iride. Al centro dell’iride vi è un foro, la pupilla, da cui entra la luce. Subito dietro la pupilla, vi è una piccola massa di tessuto gelatinoso trasparente, a forma di lente biconvessa asimmetrica, detta cristallino. La struttura del cristallino è complessa, a strati più o meno concentrici. Esso è sospeso ad una raggiera di filamenti (“zonula di Zinn”) che si aggancia ad un anello ingrossato, ricco di fibre muscolari, detto corpo ciliare.
Fra cornea e cristallino vi è uno spazio ripieno di liquido trasparente (umor acqueo), mentre lo spazio dietro il cristallino, che è la massima parte del volume interno dell’occhio, è occupato da un materiale gelatinoso, detto umor vitreo o corpo vitreo.
Dall’esterno all’interno del globo, la parete dell’occhio al di fuori della cornea è costituita da
tre strati:
1) Sclerotica o sclera, fibrosa, tenace, biancastra, con numerosi vasi sanguigni. La cornea, citata sopra, non è che la parte anteriore, prominente e trasparente, della sclera.
2) Coroide, formata di tessuto più tenero, ricchissimo di sostanze coloranti (pigmenti) scuri nonché di capillari. La coroide ha lo scopo di assorbire tutta la luce che non viene assorbita dalla retina e che, diffondendosi all’interno dell’occhio, ridurrebbe
il contrasto. L’iride ed il corpo ciliare rappresentano solo la parte anteriore della coroide, che acquista caratteristiche particolari.
3) Rètina, formata di cellule e fibre nervose in più strati, il più esterno dei quali, in prossimità della coroide, contiene gli elementi sensibili alla luce chiamati per la loro forma coni e bastoncelli. All’inerno, lo strato pigmentato o coroide; poi, uno strato di cellule piatte anch’esse pigmentate. Più internamente, le cellule fotosensibili (coni e bastoncelli), collegate con sottili fibre ad altre cellule, in parte fornite
di due prolungamenti, e dette perciò “bipolari”. Ancora più verso il centro del globo oculare vi è uno strato di cellule nervose (“ganglionari”) con molte ramificazioni brevi (“dendriti”) a contatto con le cellule bipolari, ed una lunga fibra (“neurite” o “cilindrasse”) che va a far parte del nervo ottico. Si noti che questo tipo di retina è detto “inversa” poiché le fibre che collegano le cellule ganglionari con i centri nervosi del cervello si trovano all’interno della retina e quindi la luce che
attraversa la pupilla deve attraversare anche loro prima di eccitare le cellule sensibili (coni e bastoncelli).
Tutte le fibre convergono verso un punto della rètina (papilla)per poi uscire dal globo oculare e costituire il “nervo ottico”. In corrispondenza della papilla, la retina non contiene cellule sensibili ed è quindi cieca.
Al centro della rètina vi è una zona giallastra (macula lutea) al cui centro vi è una piccola depressione di pochi decimi di mm di diametro (fòvea) in cui la densità delle cellule sensibili, e quindi la risoluzione dell’occhio, è massima. Normalmente, noi muoviamo gli occhi in modo che l’immagine dell’oggetto fissato cada sulla fovea.
Si noti che la retina s’interrompe prima del corpo ciliare poiché, oltre quel limite, sarebbe inutile: l’immagine non si forma più.
Funzioni nervose dell'occhio
Vogliamo qui rapidamente descrivere alcuni aspetti del funzionamento dell’occhio umano che sono legati alla parte nervosa di esso, essenzialmente alla rètina.
Adattamento al buio
Quando una persona passa da un ambiente normalmente illuminato ad uno quasi buio,
inizialmente è quasi cieca; poi riacquista gradatamente la visione. Inizialmente, l’adattamento è veloce, ma il suo completamento richiede almeno 40 minuti. Questo adattamento presuppone un aumento di sensibilità ed è dovuto a tre cause:
1) un fenomeno chimico, cioè la rigenerazione della porpora retinica o rodopsina . Questa sostanza, contenuta nei bastoncelli, si altera per effetto della luce e dà avvio alla stimolazione nervosa delle cellule sensibili; al buio, essa rigenera rapidamente ed il suo accumulo aumenta la sensibilità delle cellule.
2) Un fenomeno nervoso, per il quale le singole cellule ganglionari (vedi sopra) ricevono impulsi da un numero maggiore di bastoncelli, i cui effetti vengono così a sommarsi. A causa del secondo meccanismo, in concomitanza con l’adattamento al buio si verifica un calo dell’acuità visiva, specialmente nella fovea, e della percezione dei colori, soprattutto del giallo-arancio-rosso.
3) Un fenomeno ottico: l’allargamento della pupilla operato, in via riflessa, da apposite fibre muscolari. Si è detto sopra che al centro dell’iride vi è un foro circolare, la pupilla, attraverso cui passa tutta la luceche va poi a distribuirsi sull’intera retina. Il diametro di questo foro non è costante: si allarga fino ad 8 mm circa al buio, si riduce anche fino ad 1 mm alla luce viva. La variazione del suo diametro è comandata in modo inconscio, per un “riflesso” nervoso, sulla base della luminosità media dell’ambiente.
Quando si verifica una certa anomalia, per la quale manca l’adattamento al buio, la persona diviene quasi cieca in luce crepuscolare e si parla di emeralopìa.
Adattamento alla luce intensa
Passando dal buio alla luce viva, avvengono fenomeni inversi: si ha un primo periodo di
abbagliamento, seguìto da una perdita di sensibilità che consente, dopo un poco, di riprendere la visione corretta. L’adattamento alla luce è più veloce di quello al buio: infatti, si completa in pochi minuti. Oltre ai meccanismi chimici e nervosi già citati, anche qui esiste un meccanismo più strettamente ottico: il restringimento automatico della pupilla.
Sembra che l’adattamento alla luce intensa sia dovuto anche alla migrazione dei granuli scuri nelle cellule pigmentate su cui si appoggiano le cellule sensibili.
Persistenza
Il fatto che l’adattamento al buio o alla luce siano relativamente lenti spiega il fenomeno della persistenza, per il quale un’immagine che si forma per breve tempo sulla retina produce una sensazione che dura per una frazione di secondo dopo lo stimolo. Se la retina riceve una serie di immagini di breve durata intercalate da brevi periodi di buio, può non percepire lo stacco fra ogni immagine e la successiva ed avere la sensazione di un’immagine unica (fusione). Se le successive immagini sono leggermente diverse l’una dall’altra, si può avere la sensazione di movimento.
Vedremo che nella fovea prevalgono i coni, che sono meno sensibili dei bastoncelli.
Le variazioni di diametro della pupilla sono dovute alla presenza, nell’iride, di fibre muscolari radiali e circolari.
L’emeralopia (cecità solo notturna senza causa specifica) è spesso dovuta a carenza di vitamina A, un precursore chimico della rodopsina.
Allo stesso meccanismo della persistenza sono dovute le immagini postume: osservando un oggetto molto illuminato (es. il riquadro di una finestra in pieno giorno) e poi volgendo gli occhi su un fondo scuro, o chiudendo le palpebre, si continua a vedere l’oggetto di prima, sia pure molto confuso e pallidissimo; le reazioni chimiche provocate dalla luce nella retina non si annullano istantaneamente col passaggio luce-buio.
Le immagini postume sono “positive”, cioè riportano gli stessi chiari-scuri dell’oggetto, se la stimolazione della retina è breve; se la stimolazione è prolungata, si può avere un affaticamento della retina e l’immagine postuma apparirà con contrasto invertito.
Risoluzione
Se, in un oggetto qualunque, consideriamo due punti vicini, possiamo vedere come distinti, cioè risolti, quei due punti solo se i due punti corrispondenti nell’immagine formata sulla rètina cadono su due diverse cellule sensibili; è questo il limite anatomico della risoluzione dell’occhio. Anche il sistema di lenti dell’occhio (vedi sotto) ha un suo limite di risoluzione ma il limite ultimo è dato dalla
distanza fra le cellule. Questa distanza è di 4 – 5 μ in corrispondenza della fovea, molto maggiore altrove. Questa massima densità di cellule nella fovea spiega perché, quando “fissiamo” un oggetto, ruotiamo istintivamente gli occhi in modo che la sua immagine cada proprio sulla fovea: la massima risoluzione si ha infatti in essa.
Sensibilità al contrasto
Si chiama “contrasto”, semplificando molto, la differenza di luminosità fra una regione ed un’altra di un oggetto o di un’immagine. L’occhio umano percepisce il contrasto solo se è superiore a circa il 2 % (legge di Weber), ma la sua sensibilità dipende dal colore: è massima per i contrasti in bianco e nero.
Sensibilità ai colori (sensibilità cromatica)
Sembra che i bastoncelli della retina, uno dei due tipi di cellule sensibili, siano incapaci di discriminare i colori per cui, da soli, ci fornirebbero la visione in bianco e nero. Essi però possono percepire luminosità più basse. Le altre cellule sensibili (coni) sarebbero invece sensibili ai colori, anche se hanno bisogno di una stimolazione più elevata. I bastoncelli prevalgono numericamente, ma nella piccola regione centrale detta “fovea” (vedi sopra) prevalgono i coni. Sembra che vi siano varie categorie di coni, sensibili a diverse bande spettrali, almeno tre.
Dalla combinazione dell’eccitazione di varie categorie di coni si avrebbe la percezione dei colori misti. Si noti che la percezione dei colori, del loro contrasto, ecc. è affidata a molti centri nervosi, oltre 30, che lavorano in parallelo per non rallentare troppo la percezione finale.
Ed ogni “centro” rappresenta una struttura complessa. Una sola zona della corteccia visiva (nel lobo occipitale del cervello) contiene circa 300 milioni di neuroni.
Vi sono però persone che non percepiscono i colori. La causa di questo difetto sembra
risiedere nella funzionalità dei coni. L’assenza di percezione di TUTTI i colori è, per fortuna, un caso molto raro. Più frequente è l’insensibilità al rosso oppure al rosso-verde . In questi casi si parla di daltonismo, in ricordo del chimico e fisico inglese J. Dalton che ne era affetto e lo descrisse nel 1794.
Il daltonismo è assai più frequente negli uomini che nelle donne; la ragione di ciò sta nel fatto che il corretto funzionamento dei coni è legato a due coppie di geni situati nei “cromosomi del sesso”, indicati con XX. Nelle donne, un difetto in uno solo dei cromosomi X viene compensato dall’altro cromosoma X e non dà segni manifesti; nell’uomo, essendovi un solo cromosoma X, il daltonismo si manifesta se quell’unico cromosoma è difettoso poiché manca il cromosoma omologo.

Gruppo di cellule fotosensibili sotto l’epidermide di una sanguisuga. È visibile lo strato ricco di pigmento (colorante) scuro che fa da schermo su un lato alle cellule sensibili.

Occhio a fossetta di Nereis, un anellide marino, lontano parente dei lombrichi.Anche qui, le parti sensibili alla luce (rabdomi) sono schermate da cellule scure ricche di pigmento (“cellule di supporto”). Manca una“lente” cioè una struttura convergente capace di creare un’immagine del mondo esterno. Nonpuò quindi essere percepita la forma degli oggetti.

Schema di occhio “composto” di insetto, costituito da una moltitudine di piccole piramidi, tutte con il vertice verso il centro dell’organo. Ad ognuna di queste piramidi, costituenti un elemento sensibile (ommatidio), corrisponde una faccetta esagonale sulla superficie esterna dell’occhio composto. Al di sotto della faccetta si trova un ispessimento della parete esterna, con le superfici esterna ed interna convesse, che funge da lente convergente e prende perciò il nome di corneola, per similitudine con la cornea dell’occhio dei Vertebrati.

Schema dell’occhio di seppia. Notare la massa sferoidale di tessuto che funziona da lente e lo strato scuro pigmentato, esternamente alla retina. Sul davanti, lo strato pigmentato assume la funzione di diaframma della lente, come nel caso della nostra “iride”



