La produzione delle lenti oftalmiche
I processi utilizzati per la produzione delle lenti oftalmiche sono differenti a seconda del materiale utilizzato: vetro, materiale organico termoindurente o materiale organico termoplastico.
La produzione del vetro
Il vetro viene ottenuto per fusione dei materiali componenti. La realizzazione della massa vetrosa omogenea dalla miscela costituente la carica avviene per fusione nei forni che, per i vetri d’ottica e per i cristalli, sono generalmente dei crogioli di materiale refrattario (mullite o zircone) o di platino. Anche se i vari costituenti della miscela hanno punti di fusione diversi, nell’intervallo di temperatura 1350-1600 °C la messa vetrosa assume carattere di liquido viscose. Le eventuali bolle di gas presenti nella massa fusa vengono eliminate mediante opportuno mescolamento e con l’introduzione di sostanze raffinanti quali l’anidride arseniosa o il nitrato sodico che agisce da ossidante. Questa operazione viene chiamata raffinazione. Abbassando la temperatura la viscosità del liquido raggiunge valori così elevati da conferirgli l’aspetto pratico del vetro: rigido e indeformabile.
Nella produzione di vetro per l’ottica di precisione la fase di raffreddamento avviene (con la chiusura del crogiolo) molto lentamente – di solito qualche giorno – e ciò per evitare la formazione di tensioni interne a causa del gradiente termico tra la superficie esterna del liquido, più fredda, e la massa vetrosa interna più calda. Nonostante ciò, come si è visto, la creazione di tensioni interne è sempre possibile e quindi si ricorre al trattamento termico della ricottura.
Per la produzione di sbozzi per lenti oftalmiche si ricorre invece alla tecnica dello stampaggio con metodo automatico. La fusione non avviene in un crogiolo di capacità limitata, ma in forni muniti di una grande vasca di fusione rivestita di platino, che consente il funzionamento continuo (figura 8). La vasca di fusione è relativamente lunga e stretta: da una parte si immette la miscela di materie prime e dall’altra si spilla il vetro fuso, perfettamente omogeneo, grazie a un’opportuna miscelazione.
Il vetro può essere colato in blocchi, che vengono poi raffreddati e lavorati, oppure fatto cadere, in gocce di opportune dimensioni, nella forma di una pressa automatica. La pressa possiede un piatto a giostra munito di più forme. La goccia cade nella forma, poi viene pressata e passa attraverso stazioni successive, nelle quali viene raffreddata gradualmente, prima con fiamma a gas, poi con getti di aria calda. Al termine del percorso la lente pressata, ancora molto calda, viene espulsa e posta su un nastro trasportatore a maglie metalliche, che entra nel forno finale di raffreddamento, da cui escono i “presslinge” pronti per la sbozzatura.
Il vetro ottico viene quindi venduto dalle vetrerie come:
a) piastre quadrate o rettangolari (di dimensioni 70 70 cm o 120 120 cm con spessore da 2 a 30 mm); le piastre possono essere di 1° qualità (non hanno strie); di 2° qualità (strie debolissime); di 3° qualità (con strie visibili con il metodo a liquido, ma non a vista contro luce);
b) semilavorati o “sbozzi”, ottenuti per stampaggio di vetri di prima qualità;
c) “presslinge” pronti per la sbozzatura, prodotti con il metodo automatico.

Figura 8. Schema della linea di produzione degli sbozzi grezzi di vetro per occhialeria.
La lavorazione del vetro
Il vetro che deve esser portato alla forma di lente viene lavorato esclusivamente a freddo, cioè non viene mai riscaldato al punto che si possa deformare. Il vetro, quando viene scaldato, comincia a rammollirsi e a deformarsi: un blocco di vetro ottico che per qualche ragione accidentale o volontaria venisse rammollito deve esser considerato perduto, se non altro perché la sua rifrangenza e la sua dispersione sono cambiate, e i dati che prima si avevano ora non valgono più e per determinarli di nuovo, con la tolleranza ottica, occorre un lavoro tale che conviene comprare un blocco di vetro nuovo.
La lavorazione a freddo consiste in abrasione, mediante polveri più dure del vetro, che può avvenire mediante lavorazione manuale o a macchina. Per portare un blocco di vetro come viene dalla vetreria ad essere un’ottica conforme a una ricetta ottica si è soliti dividere la lavorazione in tre stadi, che corrispondono a tre livelli diversi di finezza:
1) sgrossatura;
2) smerigliatura;
3) lucidatura o pulitura.
Ogni fase richiede macchine, utensili e processi particolari.
Sgrossatura
Il vetro che deve esser portato alla forma di lente viene lavorato esclusivamente a freddo, cioè non viene mai riscaldato al punto che si possa deformare. Il vetro, quando viene scaldato, comincia a rammollirsi e a deformarsi: un blocco di vetro ottico che per qualche ragione accidentale o volontaria venisse rammollito deve esser considerato perduto, se non altro perché la sua rifrangenza e la sua dispersione sono cambiate, e i dati che prima si avevano ora non valgono più e per determinarli di nuovo, con la tolleranza ottica, occorre un lavoro tale che conviene comprare un blocco di vetro nuovo.
La lavorazione a freddo consiste in abrasione, mediante polveri più dure del vetro, che può avvenire mediante lavorazione manuale o a macchina. Per portare un blocco di vetro come viene dalla vetreria ad essere un’ottica conforme a una ricetta ottica si è soliti dividere la lavorazione in tre stadi, che corrispondono a tre livelli diversi di finezza:
1) sgrossatura;
2) smerigliatura;
3) lucidatura o pulitura.
Ogni fase richiede macchine, utensili e processi particolari.

Figura 9. Coppie di patine in ghisa utilizzate per lavorazione manuale delle lenti.

Figura 10. Sbozzatura di una superficie convessa.
Smerigliatura
Il blocco sgrossato viene consumato ancora, ma finemente, senza modificare il raggio di curvatura, mediante polveri chiamate smerigli, composte per lo più di corindone o di carborundum; perciò l’operazione si chiama smerigliatura (o anche lappatura). Gli smerigli sono di grana molto uniforme, e ve ne
è di quelli i cui grani sono dell’ordine del decimo di mm, e altri via via più fini fino a quelli che hanno granuli di appena 3 . Il blocco di vetro viene sottoposto all’abrasione con questi smerigli cominciando dai più grossi, usando come utensile nella lavorazione manuale una pàtina di ghisa in rotazione a 150 giri al minuto, e nella lavorazione automatica una patina di alluminio ricoperta da pastiglie diamantate, o da una pellicola abrasiva composta da grani finissimi di diamante annegati in un legante di bronzo sinterizzato, in rotazione alla velocità di 400 giri al minuto (figure 12 e 13).

Figura 11. Lappatura di una superficie concava.

Figura 12. Lappatura di lenti toriche su un anello rotante.

Figura 13. Coppia di patine per la lucidatura lappatura automatica, con pastiglie diamantate.

Figura 14. Coppia di patine per la lucidatura lappatura automatica, con pellicola di resina poliuretanica.
Lucidatura
Al termine della smerigliatura il diametro, le curve e lo spessore del vetro hanno tutta la precisione richiesta. Le due facce della lente sono lisce ma opache. E’ necessario lucidarle per renderle trasparenti. Si passa allora alla terza fase, ossia alla lucidatura o pulitura. Come principio questa operazione è identica alla precedente. La pàtina è ricoperta da un panno di feltro o nella lavorazione automatica da una pellicola di resina poliuretanica.
Lo smeriglio o il diamante in granelli sono sostituiti da un abrasivo ancora più fine, ad esempio l’ossido di cerio o di titanio, mescolato ad acqua. Queste polveri finissime venivano un tempo dette “rossetti”, perché la più usata era il cosiddetto rossetto inglese, che è semplicemente ossido di ferro.
Durante la pulitura viene levata una piccolissima quantità di materiale. Contemporaneamente si determina uno scorrimento: le rugosità che costituiscono la grana della superficie vengono progressivamente spinte nei vuoti, in modo da rendere perfettamente liscia la superficie.
La produzione delle lenti organiche
Le lenti organiche vengono prodotte a partire dai componenti del materiale plastico (monomeri) che vengono colati o iniettati allo stato fuso in uno stampo nel quale avviene il processo di polimerizzazione. Lo stampo ha superfici lavorate e lucidate ad alta precisione e la lente esce dallo stampo già trasparente e lucida.
Le fasi di lavorazione sono differenti nel caso si utilizzi un materiale termoindurente (per esempio CR-39) o un materiale termoplastico (come il policarbonato).
Nel caso di materiale termoindurenti gli stampi sono costituiti da due superfici in vetro temperato assemblate mediante un giunto di materiale plastico; il tutto è bloccato da una molla. Nello stampo viene colato il monomero allo stato liquido insieme a un catalizzatore che consente l’indurimento del materiale durante il ciclo di polimerizzazione, che consiste in un’operazione di riscaldamento controllato, durante tempi compresi tra 6 e 30 ore, a temperature comprese tra 40 °C e 80 °C. Lo stampo viene quindi aperto e se ne estrae la lente finita.
Le lenti in policarbonato vengono invece prodotte per iniezione in stampi metallici. Il materiale di partenza si presenta in forma granulare e viene riscaldato in modo da ottenere una massa viscosa che viene iniettata a forte pressione negli stampi, nei quali raffreddando solidifica producendo la lente finita. Si tratta di un processo che richiede macchine di grandi dimensioni.
Normalmente le aziende produttrici di lenti oftalmiche (in materiale organico ma anche in vetro) realizzano sia lenti finite, con un determinato assortimento di poteri, diametri e tipologie, che vengono conservate in magazzino pronte per l’uso (lenti a stock), sia “semilavorati”, ossia lenti che presentano una sola superficie finita mentre l’altra superficie viene lavorata secondo le richieste pervenute dall’ottico, telefonicamente o via fax o e-mail (lenti a ricetta). Nei cataloghi delle aziende sono specificate quali lenti sono disponibili a stock e quali devono essere prodotte a ricetta.
Nella lavorazione delle lenti a ricetta la superficie già finita viene protetta con uno strato di plastica adesiva; l’altra superficie viene lavorata attraverso le fasi di sbozzatura, lappatura e lucidatura che abbiamo già descritto per la lavorazione delle lenti in vetro, senza che vi siano sostanziali differenze per la lavorazione di lenti in materiale organico, tranne per il fatto che vengono utilizzati supporti di materiale più morbido e abrasivi differenti.

Figura 15. Le lenti organiche in materiale termoindurente sono prodotte da due matrici dello stampo (in grigio nella figura) che rappresentano le superfici delle lenti in negativo. Queste due forme sono tenute insieme da un apposito anello rotondo (in giallo nella figura). L’anello assicura che le due forme rimangono a distanza definita fra di loro. Il monomero liquido viene iniettato all’interno dello stampo e dopo il processo di polimerizzazione diventa una lente organica.

Figura 16. Produzione di lenti in materiale termoindurente: iniezione del monomero negli stampi. Normalmente le aziende realizzano produzioni in serie lavorando contemporaneamente un grande numero di lenti.

Figura 17. Impianto per stampaggio ad alta pressione di materiale termoplastico.